di Massimiliano Catapano
Un'organizzazione ben strutturata, con ruoli precisi e una rete estesa tra la Calabria e la Campania: è questa l’immagine emersa al termine di una lunga e complessa inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha portato a condanne per quasi cento anni complessivi di reclusione. Al centro delle indagini, un vasto traffico di cocaina che dal Reggino, passando per Scalea, riforniva le piazze di spaccio dell’Agro nocerino-sarnese e del Vesuviano. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il punto nevralgico dell’operazione era nel comune di Scalea, dove agiva sotto sorveglianza speciale Domenico Tamarisco, detto "Nardiello", boss di Torre Annunziata già noto alle forze dell’ordine. È lui il fulcro dell’intesa criminale che avrebbe collegato esponenti di clan camorristici campani a figure di spicco delle cosche calabresi attive nel reggino. Tamarisco è stato condannato a 20 anni di carcere. Stessa sorte, con pene lievemente inferiori, per altri affiliati del sodalizio: 16 anni ciascuno a Luigi Vicidomini, originario di Nocera Inferiore, e a Patrizio Fiume, soprannominato "l’Immortale" di Torre del Greco. Dodici anni sono invece stati inflitti a Salvatore Maiorino, anche lui di Nocera Inferiore.
Ulteriori condanne sono arrivate per Gianluca Lano, paganese residente a Roccapiemonte, e Ivano Busillo di Scafati, entrambi giudicati colpevoli e condannati a 6 anni di reclusione, ma senza aggravanti. Sono stati invece assolti il calabrese Fabio Scaglione e Vittorio Casillo, di Terzigno. Nel complesso, le pene inflitte hanno superato quelle richieste inizialmente dalla Procura, a conferma della gravità del quadro accusatorio. Il processo si è celebrato con il rito abbreviato davanti al Gup del tribunale di Catanzaro. A emergere dalle indagini è stata una struttura criminale articolata, con ruoli precisi: fornitori, acquirenti, corrieri, custodi e distributori della sostanza stupefacente. Le attività di Tamarisco avrebbero avuto il supporto di sodali calabresi, conosciuti nel periodo trascorso a Scalea, che lo avrebbero accompagnato anche a summit organizzati in Campania per trattare affari illeciti con altre consorterie criminali.
Nella vicenda è emerso anche il nome del boss nocerino Antonio Pignataro, ex esponente della Nuova Camorra Organizzata, noto per essere stato coinvolto nell’omicidio della giovane giudice Simonetta Lamberti nel 1982. Secondo gli inquirenti, Pignataro – deceduto un mese fa – avrebbe messo a disposizione la sua abitazione di Scalea per incontri del clan e per custodire ingenti somme in contanti, frutto del narcotraffico: si parla di 21mila euro. Il suo procedimento è stato estinto per sopravvenuto decesso. L’inchiesta ha fatto luce su una rete ben oliata e ramificata, capace di far giungere lo stupefacente dalla Calabria fino al cuore della provincia di Salerno, passando per Scafati, Pagani, Roccapiemonte e, soprattutto, Nocera Inferiore. Un’operazione giudiziaria che segna un duro colpo ai traffici illeciti tra Sud Italia e Campania e che dimostra ancora una volta quanto le alleanze criminali siano capaci di superare confini regionali e consolidare legami trasversali.
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