Ad introdurre Claudio Brachino nella Sala Blu della Multimedia Valley è stato lo stesso Claudio Gubitosi, ideatore e fondatore del Giffoni Film Festival: "Ai ragazzi dico spesso di dare una scala alle emozioni, per comprendere quali siano quelle più vere e forti. Oggi io sono molto emozionato, perché Claudio Brachino è uno di noi. Con lui, vent’anni fa, le dirette Mediaset venivano condotte al caldo e al sole su una panchina, nel bar in piazza. Ricordi bellissimi. Oggi è qui, di nuovo, e sono cambiate tante cose. Lui è diventato un dei più apprezzati pensatori del nostro Paese, e tra i migliori giornalisti. Con lui potete parlare di qualunque argomento, vi prometto che vi sorprenderà". La storia di Claudio Brachino è costellata di sorprese, di appuntamenti con il destino, di strade ramificate, di incroci e curve. E l’iscrizione al corso universitario di lettere è la più classica delle curve a gomito, dopo una breve esperienza al corso di Medicina. "Per un anno mio padre non mi ha parlato, perché non capiva cosa fosse successo a suo figlio. Il mio primo messaggio per voi ragazzi è proprio questo: dove inseguire le vostre passioni. Se c’è un sogno, va seguito, senza tentennamenti. Alla prima difficoltà non si deve mollare. Oggi il mio papà non c’è più, ma lo ringrazio ancora, perché nonostante tutto, quella piccola stanza a Roma era lui a pagarmela".
La vita è fatta di incontri, di sliding doors, di quel pizzico di fortuna che può cambiare il futuro di una persona. Alla Sapienza di Roma fa il suo ingresso il commediografo Eduardo De Filippo, definito da Brachino il primo grande uomo conosciuto nella sua vita. "Eravamo in quattrocento nel teatro d’ateneo. Eduardo voleva metterci alla prova perché l’Italia era già troppo piena di concorsi truccati. Nella mia giovane timidezza lessi il testo che avevo scritto. Alla fine ricevetti 15 minuti di applausi. Lui soltanto alla fine commentò e disse 'Avete visto l’effetto di una penna che sa scrivere teatro'. Da lui ho imparato a saper ascoltare". Ma è lo sguardo e la passione sugli altri il più grande insegnamento tramandato da De Filippo a Brachino. Lo sguardo del teatro che è anche quello del giornalismo. Saper raccontare la realtà, descrivere i fatti, la vita degli uomini, interpretare la notizia. E il ricordo su Eduardo termina con il culmine della sua esperienza teatrale: "Per un anno non ci siamo parlati, e non capì il perché. Poi mi aiutò, correggendo la commedia 'Mettiti al passo!'. Mi disse che avevo un cognome di merda. Pertanto fui pubblicato con lo pseudonimo Brachini".
Ma la storia di Claudio Brachino è quella che abbraccia la TV. Agli studi Mediaset ci arriva grazie ad un altro incontro, il secondo più importante della sua vita. Fato o destino che sia, ma la stretta di mano con il regista russo Nikita Michalkov nel 1987 lo portò a conoscere Adriano Galliani. Publitalia ’80, infatti, sponsorizzò l’opera prima del cineasta sovietico. Da lì una lunga carriera in quella che nel frattempo è diventata Mediaset, dove per trent’anni ha condotto TG e ideato programmi di grande successo come Top Secret e Matrix. Focus dell’incontro con i ragazzi del progetto Impatto Giovani il ruolo del conduttore e dell’anchorman, e delle loro differenze. Brachino è spietato: "L’Anchorman non è un conduttore. La televisione è piena di conduttori che si limitano solo a leggere i fogli delle notizie. L’anchorman è un’altra cosa. Getta l’ancora e attira l’attenzione, seduce. Oggi se penso all’anchorman vedo solo Mentana, e come lo sono stati Sposini ed Emilio Fede. L’anchorman ha personalità, interpreta la realtà, senza dare giudizi. E poi esiste l’anchorman nel talk, come Maurizio Costanzo. Un deus che tiene le fila di tanti frammenti di discorso, e lui lo faceva girando dietro le sedie degli ospiti. Lui unificava il discorso". La più grande e formativa esperienza sul campo è stata l’11 Settembre: "Io dalle 15.00 alle 24.00 sono stato in diretta. Senza testo, senza scaletta, con la voce del mio direttore Mario Giordano nelle orecchie per tutto il tempo. E raccontammo tutto in diretta, anche la caduta seconda torre. E ricordo i pallini neri nelle immagini… pensavamo fossero difetti delle riprese, ma erano le persone che si buttavano giù. Alla fine della diretta mi chiamò Fede e mi disse ‘Allora puoi fare questo mestiere". Un dibattito durato un’ora, e al suo termine solo grandi applausi per un patrimonio della cultura e del giornalismo italiano.
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