Se n’è andato in una strana giornata di novembre, il cielo a Roma è grigio, ma fa un caldo cane. Lui invece amava il sole, amava lo stupore che la vita riserva e – cosa assai più rara – sapeva trasmetterlo. Giampiero Galeazzi se n’è andato a 75 anni nella sua Roma, al termine di una lunga malattia. E nelle orecchie di tutti oggi risuonano le sue parole, quelle che hanno scandito le grandi vittorie azzurre, quelle che hanno reso lo sport epico anche attraverso il tubo catodico. A partire dal trionfo degli Abbagnale a Seul ’88, una telecronaca rimasta in dubbio fino all’ultimo per via di uno sciopero e a cui Galeazzi arrivò impreparatissimo. Poco importa, l’Italia vinse e quel crescendo trionfale della sua telecronaca entrò nella storia. Così come le interviste al Napoli scudettato di Maradona, con Bisteccone travolto dallo champagne, o quelle per il titolo della Lazio, squadra che ha sempre tifato.
Dalla Domenica Sportiva a 90° Minuto, da Domenica In con l’amica Mara Venier alle telecronache fino agli interventi da bordocampo, Galeazzi si è donato al pubblico, con i suoi pregi e i suoi difetti, i vizi e le virtù. Ha cambiato il modo di raccontare lo sport, ha esaltato la Rai dove è stato per oltre quarant’anni e che non avrebbe mai tradito, è stato – parole sue – “Pippo Baudo e Sandro Ciotti messi assieme, una bomba atomica”. Amico di calciatori, tennisti e atleti di ogni genere, Bisteccone è stato capace di essere soprattutto amico degli italiani.
IL RICORDO DI MENTANA
"Quando Bisteccone discuteva con qualcuno che se la tirava troppo, poteva schiacciarlo con una frase definitiva: "Per te mica hanno suonato Fratelli d'Italia". Per lui invece l'avevano suonato eccome l'inno di Mameli: era stato giovane campione azzurro di canottaggio nel singolo (mi pare, con questi ricordi vado a memoria) e non vi dovete sorprendere, perché il romanissimo Galeazzi era nato sul lago Maggiore. Lo sentii per la prima volta alla radio nella prima parte degli anni Settanta, a fare il cronista sportivo. Poi approdò al tg1, fin dalla nascita, e quando lo conobbi, nel 1980, era già un personaggio, per la sua informalità, per la sua mole, per la sua vena popolaresca applicata alle interviste e agli interventi per Novantesimo minuto o la Domenica Sportiva, ma anche - meno evidente e non ostentata - per la sua competenza mai saccente. Era la punta della redazione sportiva guidata da Tito Stagno e Enzo Petrucci, il vero papà professionale dei giovani che, in quello stesso 1980 erano arrivati lì allo sport, Fabrizio Maffei e Claudio Icardi, e poi Marco Franzelli, Jacopo Volpi e Ugo Trani. Ci si preparava all'avventura che sarebbe stata indimenticabile, il Mundial di Spagna 1982, quello di Pablito, di Tardelli, di Bearzot e Pertini. E di Bisteccone. Da lì comincia la usa consacrazione. Eppure più di mille immagini di questi quarant'anni il ricordo mio come di tanti resta soprattutto per la sua voce indimenticabile, e se un momento vale una vita, quello è l'arrivo del due con di Canottaggio alle olimpiadi di Seul 1988, l'oro degli Abbagnale. Quell'immortale urlo "Non li prendono più, non li prendono più!". Addio amico".
FONTE: La Gazzetta dello Sport
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