Un rapporto di Euris e Consiglio nazionale Giovani delinea un quadro desolante e preoccupante sulla condizione di chi lavora da poco e sul futuro pensionistico: “Tra lavori incerti, precarietà ed autonomia conquistate sempre più tardi, si attendono una vecchiaia incerta ed ai limiti della sopravvivenza”. Una situazione ben descritta in un articolo pubblicato su “La Repubblica” di oggi a firma di Barbara Ardù che ha fotografato una realtà drammatica per i giovani che, causa diversi fattori tra cui Pandemia e crisi economica, vedono sempre di più ridotte le possibilità di un posto fisso.
In particolare, l’articolo analizza una realtà molto ampia: “Solo il 37% degli intervistati ha un lavoro stabile, il 26% è precario, gli altri sono disoccupati o studenti lavoratori. E il lavoro stabile, se arriva, arriva non prima dei 35 anni. Troppo tardi, spesso, per pensare a una famiglia. E poi c'è la retribuzione, che anche si è arrivati a una qualche stabilità, è bassa. Un quarto dei giovani intervistati ha racimolato 5mila euro l'anno. E solo pochi guadagnano più di 20mila euro, 7 su 100. Salari bassi dunque. Ma salari, perché al contrario ben il 55% dei giovani dichiara di aver avuto esperienze di lavoro al nero. C'è anche chi ha dovuto pagare per poter lavorare, pochissimi, ma ci sono. Il 37,5% ha accettato pagamenti inferiori a quelli dovuti pur di lavorare. Più di uno su quattro è stato inquadrato in qualifiche inferiori rispetto a quelle reali. Poi ci sono le vessazioni, le molestie che non li hanno risparmiati (più le donne che gli uomini). Viene sfatato un altro mito che ha sempre circondato i giovani in questi anni: la poca mobilità, o meglio la poca disponibilità a cambiare città per lavoro. Non è vero secondo il Rapporto: uno su tre ha cambiato regione o città per un'occupazione. Senza contare quelli che vanno all'estero.” E sul discorso delle pensioni il discorso si fa ancora più allarmante: “ll futuro remoto è per loro un incubo. Solo il 32% si è informato sui contributi versati. La stessa percentuale che spera di avere almeno 1000 euro di pensione. Gli altri se l'attendono più bassa. E se 8 su 10 dicono sì all'introduzione dei contributi figurativi e 7 su 10 anche alla pensione di garanzia, un'idea li accomuna. E' lo Stato (ma anche la Ue) che dovrebbe farsi carico del problema (94%). Come? Recuperando l'evasione fiscale o attraverso l'imposizione fiscale sui redditi più alti. Redistribuire insomma, anche nelle pensioni. "Per questo - ha dichiarato Maria Cristina Pisani, presidente del Cng - soprattutto a fronte del dispiego delle tante risorse che il percorso pluriennale del PNRR comporterà, chiediamo nuovi interventi normativi tra cui un tavolo di lavoro con il Governo sulla pensione di garanzia per i giovani e l'istituzione di un Osservatorio ad hoc che monitori gli impatti degli interventi, centrato su una strategia volta a ridurre la percentuale di Neet, come indicato nell'Agenda 2030".
Su tale argomento si è espressa la Presidenza nazionale della Confunisco (Confederazione e Unione Sindacati Autonomi)”: “Da sempre sensibili a questa questione, l'argomento pensione - giovani ha al suo interno numerose problematiche: essendo un tema poco affrontato, seppur in risalto negli ultimi anni, non è mai stato disciplinato in modo coerente e lungimirante.
Come Confunisco ci dichiariamo favorevoli all'istituzione di una "pensione di garanzia" che si adatti dal punto di vista economico all'attuale costo della vita.
Anteriormente a ciò, sarebbe necessario che lo Stato creasse i presupposti per un agevole inserimento nel mondo del lavoro, anche durante la fase di studio. Soltanto integrando questi due fattori ( e approfittando delle attuali risorse previste dal PNRR, Piano nazionale ripresa e resilienza) il Sistema potrebbe trovare una corretta soluzione, volgendo sempre lo sguardo al futuro con una programmazione accorta e previdente"
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