di Giuseppe Vitolo
Tutto il mondo è realmente paese? È servito il Coronavirus a dare conferma all’illogica teoria basata sull’oramai ultracentenario detto popolare. O forse basterebbe conoscere la storia di Fulvio Ventura. Una vita con la valigia in mano, dai picentini all’India, passando per lo Sri Lanka e il Kuwait: lo spirito avventuriero e l’ambizione lavorativa lo hanno reso cittadino di un mondo che non ha confini e che gli ha donato un ruolo di prestigio a Nuova Delhi. È nella capitale della macroregione orientale, infatti, che Fulvio ha sposato la causa del JW Marriott New Delhi, divenendo chef di prestigio in una delle più lussuose catene di alberghi asiatici.
La sua esperienza è un segno tangibile di come il globo non cambi. Non è una questione di latitudini, bensì di prospettive: «Ho vissuto un’esperienza nell’esperienza – afferma Ventura – in occasione del primo approccio mondiale alla pandemia. Ero in Kuwait a fine gennaio, di lì a pochi giorni sarei approdato per motivi di lavoro in India: posso dire di essere stato uno degli ultimi viaggiatori prima del lockdown. Una volta giunto a Nuova Dehli, la situazione era tutto sommato gestibile. Nonostante l’India sia più vicina alla Cina che al mondo occidentale, c’è stato un approccio decisamente leggero, con poche restrizioni. Ciò era dovuto anche al fatto che – con una popolazione di un miliardo e quattrocento milioni di abitanti – in India si calcolavano circa seimila casi nel primo mese di Coronavirus». Quindi l’India, in piena epidemia. Terra celebre per le mille culture che si intrecciano tra di loro, un po' come la folla che accalca quotidianamente strade e vicoli in ogni dove, colorando di vita quei paesaggi maestosamente sacri. Dicevamo del Covid-19 e della sua lenta ma inesorabile scalata a protagonista principale dei fatti di cronaca per diversi mesi. Seppur in ritardo, anche a Nuova Delhi la popolazione ha dovuto fare i conti con la realtà: «Il 23 marzo, una volta concepita l’entità del reale rischio, il governo ha imposto il blocco totale delle attività. La vita è cambiata totalmente, gli spostamenti sono stati bloccati mentre le attività ristorative e commerciali hanno abbassato le saracinesche. Solo gli alberghi extra-lusso, dove ho la fortuna di lavorare, hanno avuto il permesso di accogliere gli ospiti in quarantena, continuando ad esercitare il proprio lavoro. Abbiamo avuto l’opportunità di proporre il servizio esclusivamente in camera, creando questo effetto decisamente surreale: l’albergo restava un gigantesco spazio deserto, in virtù dell’obbligo di dimora nelle stanze per tutti gli ospiti».
Un passaggio d’obbligo è quello che Fulvio dedica ai vari passaggi che la vita gli ha offerto grazie all’amore per quella che si può definire una cucina “multietnica”: «Riguardo l'integrazione, lo step più impegnativo è stato dall'Italia al Kuwait. Tutto è apparso diverso: sono sceso dall'aereo con tutto quello che avevo e intorno vedevo sabbia, grattacieli, landscape, un’architettura del tutto diversa. Le prime settimane sono state di confusione mista a meraviglia per ogni cosa, ma anche insicurezze, curiosità, dubbi. A differenza del Kuwait, l'India l'ho cercata, anche per volontà di mia moglie. La storia e la cultura – culinaria, sociale, spirituale – di questo magico Paese è un qualcosa che ti lascia il segno».
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