di Pina Ferro - Cronache
Omicidio aggravato dalla premeditazione in concorso e porto e detenzione illegale di arma da fuoco. Con queste accuse, all’alba di ieri, sono finiti in manette i fratelli Nicola e Franco Di Meo di Giffoni Valle Piana. L’omicio di cui sono accusati è quello dell’allevatore 60enne di Sieti di Giffoni Sei Casali, Domenico Pennasilico, trucidato il 23 aprile del 2019. Nella stessa circostanza il figlio dell’allevatore, Generoso all’epoca minore, scampo all’agguato e diede l’allarme. Le manette ai polsi di Nicola e Franco Di Meo sono scattate in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno su richiesta del magistrato titolare del fascicolo investigativo. Ad arrestare i germani sono stati i carabinieri della compagni di Battipaglia agli ordini del maggiore Vitoantonio Sisto. A carico dei fratelli Di Meo è emerso un solido quadro accusatorio per aver preso parte all’agguato nelle campagne di Giffoni Sei Casali - zona Cerzoni, che si concluse con l’omicidio di Domenico Pennasilico, attirato dai correi in una vera e propria trappola unitamente al figlio Generoso. Per il tentato omicidio di Generoso Pennasilico, nello scorso mese di settembre era già stato ammanettato Bruno Di Meo, figlio di Nicola e difeso dagli avvocati Paolo Carbone e Maurizio De Feo. I due Pennasilico furono attirati nella trappola con l’inganno di recuperare dei bovini di proprietà delle vittime artatamente dispersi. L’attività di indagine ha consentito di acclarare che durante le due azioni di fuoco (omicidio e tentato omicidio) furono esplosi almeno 8 colpi da tre armi diverse, due fucili da caccia caricati a pallettoni e una pistola calibro 9, e che la vera e propria imboscata fu organizzata e premeditata nei minimi dettagli, conoscendo abitudini e movimenti dei pastori oggetto dell’agguato. Le accurate investigazioni che hanno permesso di inquadrare il movente nella forte acredine tra le famiglie Pennasilico – Di Meo legata alla spartizione delle aree di pascolo del bestiame, hanno altresì dimostrato come i due arrestati abbiano fornito un alibi infondato, sconfessato dalle dichiarazioni testimoniali raccolte, dall’analisi dei tabulati dei loro cellulari e dalle intercettazioni ambientali e telefoniche. L’agguato, infatti, non a caso concise con la data della festa patronale della Madonna di Carbonara, molto sentita in quei luoghi, verosimilmente in quanto la presenza di molte persone nei pressi del santuario del posto e gli eventi in programma avrebbero potuto attestare falsi alibi (Bruno, infatti, dichiarò di aver fatto uso di armi in occasione del cd. “tiro al caciocavallo”, evidentemente per giustificare l’eventuale presenza di polvere da sparo sui vestiti). Quanto all’esatta dinamica, la perizia medico legale ha confermato che Domenico Pennasilico è stato prima ferito ad una gamba e poi freddato da distanza ravvicinata, cosi come in parte rivelato dalla stessa vittima al figlio prima di morire, durante la sua ultima drammatica telefonata. Domenico Pennasilico avvisò telefonicamente il figlio generoso dicendo che gli avevano sparato e lo invitava a mettersi al riparo. Tra qualche giorno sarà celebrata l’udienza preliminare a carico di Bruno Di Meo dinanzi al Gip. In tale occasione la famiglia Pennasilico rappresentata dall’avvocato Massimo Torre potrebbe costituirsi parte civile.
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