Il Coronavirus ha evidenziato, inevitabilmente, l'importanza di ogni settore medico-sanitario. Ma, al contempo, posto l'accento su determinati settori, quanto complicati tanto affascinati, la cui funzionalità mai come ora si rivela indispensabile. Parliamo della psicologia in tutte le sue sfaccettature. Ma come chi vive dall'interno questa professione o si avvia a concludere un percorso di specializzazione sta vivendo il periodo? Quali strumenti costituiscono la chiave di volta per una lettura dei singoli casi al tempo del Coronavirus? Ne abbiamo parlato con la giovane dott.ssa salernitana Livia Vitacca, attualmente impegnata a Torino:
"Dopo il liceo può verificarsi un periodo di smarrimento, di ricerca sfrenata della propria strada. È proprio quello che è successo a me all’epoca, ma con l’aiuto dei miei genitori ho riflettuto serenamente su quali potevano essere le mie inclinazioni - spiega ai nostri microfoni andando a ritroso nel tempo - Ho sempre creduto che il cervello umano sia tra le opere di “ingegneria biologica” più affascinanti e sofisticate; il fatto di scegliere Psicologia come percorso universitario ed, in seguito, di proseguire gli studi in Neuroscienze e Neuropsicologia mi ha sicuramente aiutato ad avere una visione più ampia ed integrata dell’essere umano, che sia esso sano o colpito da patologia. In particolar modo, il mio interesse è sempre stato soprattutto rivolto agli anziani, che spesso e volentieri sono percepiti nell’immaginario comune come “peso” e “fascia debole”. Non credo che questo sia giusto. Lavorare con la terza età e permettere di dare riscontro ai bisogni psicologici, relazionali e riabilitativi degli anziani è un obiettivo che ormai mi sono prefissata da diversi anni. Gli anziani sono a mio avviso una risorsa preziosa; rappresentano una grandissima fetta della popolazione italiana a cui troppo spesso non è rivolta la giusta attenzione, che è fisiologicamente più soggetta al deterioramento delle funzioni cognitive e che tra l’altro, in questo periodo particolare, sta pagando il prezzo più alto".
Come è cambiato l’approccio alla disciplina per una giovane come te al tempo del Coronavirus?: "La professione di psicologo, e più nello specifico di neuropsicologo, implica una dinamica interpersonale difficilmente rimpiazzabile dagli attuali strumenti tecnologici - prosegue Livia - Come dicevano gli antichi greci “l’uomo è un animale sociale” e proprio da questa socialità dobbiamo oggi prendere le distanze. Ciò che è insito nel corredo biologico dell’essere umano è diventato fonte di paura e di ansia, quindi questo periodo ci sta chiedendo uno sforzo di adattamento notevole. Ho notato con piacere che, a livello regionale, sono stati proposti diversi interventi psicologici come supporto telefonico o sedute telematiche di sostegno per le conseguenze dovute alla pandemia; tuttavia il lavoro del neuropsicologo è un po’ diverso. Per valutare l’entità dei deficit cognitivi e proporre un percorso di riabilitazione ad un paziente affetto da patologia neurodegenerativa abbiamo bisogno di stabilire un contatto, di farci vedere e sentire chiaramente altrimenti l’efficacia dell’intervento viene meno; è necessario inoltre prestare la massima attenzione ai segnali non verbali ed ai movimenti anche minimi del paziente che si verificano naturalmente in una interazione vis-à-vis. Come diceva Carl Rogers, psicologo americano alle cui idee sono molto legata, la sola “presenza” dell’operatore sanitario può spesso essere curativa e creare un senso di connessione che, secondo me, può essere creato solo in parte a distanza. Il mio percorso ha attualmente subito una battuta d’arresto a causa della chiusura temporanea di diverse strutture che qui in Piemonte stanno affrontando i problemi di cui tutti siamo a conoscenza, di conseguenza sono in attesa di ulteriori direttive per quanto riguarda il mio lavoro, così come tanti altri miei colleghi di Torino".
Rispetto ai colleghi del Sud, quali punti di contatto e quali altri di distacco noti nell’organizzazione e nella gestione del lavoro? "Il mito del Nord che dà molte più opportunità secondo me è un po’ ingigantito. A mio avviso dipende molto dalla struttura in cui lavori: ad esempio io attualmente sono ferma, mentre invece ho sentito di recente alcuni amici di Salerno che stanno andando avanti nel loro percorso utilizzando tutte le precauzioni del caso. Negli ospedali piemontesi in cui sono stata per laboratori universitari, tesi di laurea e tirocinio, ho notato un’organizzazione molto strutturata del lavoro in ambito “neuro” ed una gerarchia delle figure ben definita, non so dire se al Sud tutto questo sia rispettato in egual misura. In ogni caso ho notato sicuramente una discrepanza per quanto riguarda il “reclutamento” di specializzandi in Neuropsicologia: da alcune testimonianze ho potuto riscontrare che al Sud si tratta più di un “terno al lotto”, con numerose pratiche, tanta burocrazia e tempistiche dilatate, mentre qui a Torino per me è stato tutto molto facile. Quasi tutte le strutture per cui avevo fatto richiesta hanno accettato di farmi un colloquio e il giorno immediatamente successivo sono stata presa come tirocinante in una importante struttura riabilitativa di secondo livello. Qui sono sicuramente più tempestivi".
In conclusione una riflessione globale: "Nessuno si aspettava una pandemia di questa portata, nessuno era preparato al 100% ad affrontare questo problema così grande, tuttavia sono davvero piacevolmente colpita da come sta rispondendo al problema la sanità italiana. A livello territoriale posso dire che in linea di massima la sanità piemontese non sta lasciando indietro nessuno, tuttavia sono preoccupata per le conseguenze psicologiche che questo periodo lascerà sugli operatori - chiosa la dott.ssa Vitacca - Se c’è un aspetto sanitario da implementare, o quantomeno a cui prestare la massima attenzione, è proprio questo. Il Burn-out è una sindrome seria che compromette la normale vita quotidiana, familiare e lavorativa dell’operatore sanitario, per cui per loro sarebbe molto utile un servizio “fisso” di sostegno psicologico e di accompagnamento attraverso questa fase delicata, magari utilizzando anche figure adeguatamente specializzate in psicologia dell’emergenza che siano estranee all’equipe medica. Gli operatori sanitari sono esseri umani e, come tutti, possono essere inclini a sviluppare i sintomi estremi dello stress prolungato: se questi soggetti non vengono adeguatamente supportati e trattati, potrebbero esserci conseguenze sulla loro concentrazione durante il turno in ospedale e di conseguenza sul loro modo di prendersi cura dei pazienti. Lo stigma dello psicologo che “cura solo i pazzi” è ancora molto forte in Italia, spero che la pandemia possa modificare almeno in parte il modo in cui viene vista questa professione".
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