dal quotidiano "La Città"
Non sarà solo una commemorazione nel giorno dell’ultimo saluto al senatore Mario Valiante che potrà bastare a lumeggiare la figura di uomo, di politico, ma soprattutto di cristiano dedicato al bene comune nel corso di decenni di impegno pubblico. Non è sullo spessore del personaggio, sulla sua statura morale ed intellettuale o sulla sua carriera politica (deputato, senatore) che occorrerà soffermarsi. Sarà forse più opportuno andare a cogliere alcuni degli spunti significativi della sua carriera politica nella Dc e nel Paese per interpretare il suo lungo impegno nella società e nella storia del suo tempo.
Mario Valiante sapeva fin da giovane, per lasua fede cristiana, che la politica non era l’unica strada per la salvezza dell’uomo. E seppe così coltivare il sentimento cristiano a servizio degli altri con la «misura umana» della politica vissuta con dedizione. La sua lunga stagione politica, fino agli anniSettanta, si incrociò a quella di Roberto Virtuoso: insieme i due esponentidemocristiani rappresentarono un di intelligenza e di sapienza politica. Entrambierano radicati in una formazione culturale molto solida, Valiante studi giuridici poi sfociatinell’impegno in magistratura, Virtuoso studi umanistici molto raffinati che gli consentivano una più che agevole lettura dei tempi e della realtà. L’impegno politico li portò, al di là del rapporto familiare che li stingeva, ad unairripetibile tandem nella Dc del tempo con Virtuoso che seppe tradurre anche nella organizzazione politica la presenza all’internodella Dc. Non furono mai in gruppi di maggioranza nell’arcipelago delle correnti democristiane: prima con Taviani, i cosiddettidorotei “pontieri” poi con Emilio Colombo, Giovanni Amabile, Paolo Del Mese ed Eugenio Abbro in gruppi minoritari ma significativi della “geografia” interna dc. La lezione di Mario Valiante è anche in questadimensione non invasiva del potere, ma colloquiale e disponibile all’incontro con gli altri. Fu uomo di Stato nella sua qualità di due volte sottosegretario, prima ai trasporti e poi alla sanità, ma soprattutto quando la Dc fece ricorso alla sua sapienza giuridica designandolo alla presidenza della commissione d’inchiesta sul caso Moro, inizio anni Ottanta, e poi tra gli artefici della riforma del codice di procedura penale. In tutte queste circostanze il rigore del giurista, sempre affinato dallo studio, non venne mai offuscato dalla sua capacità di mediazione politica.
Ma resta sullo sfondo del suo impegno politico la visione del valore della cultura nel contesto europeo. Fu lui infatti a fondare il Centro Universitario per i Beni Culturali di Ravello. Un sogno che realizzò per far arrivare dal mondo della cultura la formazione europeista della nuova classe dirigente.
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